SCUOLA, ETERNO FANALINO DI CODA DI QUALSIASI GOVERNO

Era il 2011 quando un Enrico Letta qualunque rinfacciava all’allora ministro – ops, pardon, ministra, confido nella benevolenza della Boldrini – dell’ istruzione, università e ricerca Maria Stella Gelmini i tagli per 13 miliardi alla scuola pubblica che la berlusconiana della prima ora si affrettava a tacciare però come minori spese, aiutata come una scolaretta in difficoltà dai suoi colleghi. Memorabile l’espressione della Gelmini che non ricordava neppure di aver messo la firma sul provvedimento e lo sfogliava tra le mani con un’ espressione tra l’incredulo e lo sgomento, arrivando persino a sostenere che mai il collega delle finanze Tremonti le avrebbe fatto firmare con l’inganno un documento del genere – il video, per i pochi sciagurati che se lo fossero perso, è disponibile su Youtube.

Sono passati sei anni,quattro governi,quattro ministri. Uno tecnico e tre di centro sinistra, almeno nel nome. Mi direte è cambiato qualcosa? Per ora accontentiamoci di un diplomatico ma sempreverde ni.

Ni che vuol dire Buona scuola. Non entro nel merito di questa riforma – non ne avrei nemmeno i titoli – se non per alcuni aspetti, dato che vorrei parlarvi di come la riformerei io, umile hombre de pueblo. Come noto, è stata insieme al job act, unioni civili e terzo settore uno dei quattro assi di Renzi, anche se poi i decreti attuativi sono stati completati dalla rossa Fedeli.

Sintetizzo al massimo e la riduco all’osso:

-bonus cultura per i docenti;

-maggiore autonomia al dirigente scolastico;

-100mila assunzioni digitalizzazione;

-edilizia scolastica e digitalizzazione;

-alternanza scuola lavoro.

A questo si aggiunge qualche sprazzo di lucida follia – attenzione ho detto lucida non errata – della Fedeli, magistralmente imitata dal grande Crozza, riguardo alla possibilità di ridurre, almeno in sperimentazione, gli anni delle superiori e introdurre l’uso legittimo dello smartphone in aula.

Finita la teoria, ora passiamo alla pratica e vi dico come la penso.

La scuola primaria – o elementare per i nostalgici – è il nostro punto di forza e, diciamolo a gran voce, rappresenta la guida del nostro crescere e divenire. Ci fornisce le basi indispensabili e quelle conoscenze a cui, indipendentemente da chi saremo in futuro, non potremo mai rinunciare. La prima grande falla è data dalla divisone scuole medie-superiori. Che senso ha, per la maggior parte delle materie, studiarle sommariamente alle medie e poi ripeterle approfonditamente alle superiori con il rischio per alcune di non portarle neppure a termine, escludendo lo studio di argomenti importanti e ripetendone altri per due volte?

Ahi, povero XX secolo – e, perché no, XXI – maltrattato e relegato in un angusto periodo pre-esame e ignorato da molti studenti che conoscono perfettamente il re assiro Assurbanipal, Napoleone e Luigi XIV ma ignorano Kennedy, Gorbaciov, Pertini e Peron , ricordano l’editto di Costantinopoli ma guai a nominargli la crisi di Sigonella, discutono di Petrarca e Pascoli ma sono all’oscuro riguardo a Elsa Morante o Alda Merini, sono esperti di Magna Carta inglese ma Tangentopoli è puro oblio.

Piuttosto si potrebbero riorganizzare questi otto anni in un unico corso di cui i primi cinque/sei sarebbero generali e comuni a tutti, con le materie di base e gli ultimi due/tre specialistici e specifici con una sorta di indirizzamento e orientamento verso le diverse realtà universitarie ed il lavoro.

Lavoro, altro eterno sconosciuto.

Mi chiedo sempre per quale motivo la maggioranza degli italiani – e soprattutto la politica – consideri i lavori manuali meno dignitosi e nobilitanti di quelli intellettuali o comunque strettamente dipendenti da un percorso accademico.

Da maturato classico vado controcorrente rispetto ai miei “colleghi” e sono a favore di una strutturale riorganizzazione delle scuole tecniche e professionali.

Incanalandola nel modello che ho proposto poco fa, per quale inspiegabile motivo non prevedere negli anni specialistici esclusivamente lo studio delle materie professionali come la professione dell’idraulico, elettrotecnico, meccanico, parrucchiere – o hairstylist per gli anglofili -, estetista, pizzaiolo, cuoco, cameriere e così via, 6 giorni su 6 per tutto l’orario scolastico?

Sarò populista, prevedibile, scontato ma consentitemi di ricordarvi che v’è esigenza di idraulici come di medici, elettricisti come di avvocati e carpentieri come ingegneri.

Potremmo centrare due bersagli con un unico colpo dato che da un lato avremmo dei professionisti competenti in tutte le professioni e dall’altro si riuscirebbe a decomprimere l’università che spesso è satura di ragazzi – non tutti per carità ma non sono pochi – che non sono stati correttamente stimolati nel loro percorso scolastico e hanno optato per ripiegare malvolentieri su scelte accademiche sotto la spinta di genitori, amici o banalmente di una società secondo cui se non hai una laurea, non sei nessuno – aridaje con questo populismo.

Si potrebbero fare mille obiezioni.

Alcuni criticheranno la complessità di quanto ho proposto – ma Sarte sosteneva che il lavoro migliore non è quello che costa di più, ma quello che riesce meglio ed aggiungo se non ora, quando? – e altri le coperture finanziarie – non sarò Padoan, ma credo che se i finanziamenti messi a favore dei bonus per i docenti e per i neo-diciottenni, ottime mancette elettorali che pesano 370 e 287 milioni di euro sulla Legge di Stabilità del 2017 ma non inserite in nessun cambiamento strutturale o a lungo termine, e chissà quanti altri inutili capitoli di spesa fossero destinati a questo modello che ho proposto, sarebbero già un ottimo supporto da più di mezzo miliardo di euro.

Cara ministra Fedeli, la vera alternanza scuola-lavoro non equivale a sottrarre ore di formazione vera per essere catapultati in realtà lavorative che, nella migliore delle ipotesi, non sono attinenti alle proprie scelte future mentre, nella peggiore, si dimostrano subdole forme di sfruttamento lavorativo come dimostra la denuncia pubblica che le hanno mosso degli studenti a Benevento.

Creare lavoro vuol dire offrire agli studenti degli strumenti concreti, competenze pratiche e tecniche che potranno direttamente utilizzare al termine dei loro studi ed entrare subito come professionisti esperti e validi nel mondo lavorativo.

Dell’università non ne parlo, sono in conflitto d’interessi…

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